Storia della Protezione Civile





La protezione civile, con le sue attività di previsione, prevenzione e soccorso, è una delle declinazioni pratiche del concetto di difesa non armata e nonviolenta della Patria. Essa racchiude un insieme di concetti, informazioni e comportamenti indispensabili in un’ottica di cittadinanza attiva ed autoprotezione.  
Il Sistema Nazionale di Protezione Civile é inteso come insieme di attività legate alla prevenzione dei rischi, alla consapevolezza del rischio come fattore presente nelle attività quotidiane, calcolabile e gestibile, all’autoprotezione e al comportamento da tenere in emergenza e si vuole evidenziare come il concetto più ampio di “protezione civile” sia da considerarsi tra i temi della formazione alla cittadinanza attiva, in quanto coinvolge strettamente cittadini, istituzioni, società civile in un intreccio che si esplica non solo durante una emergenza, ma soprattutto in “tempo di pace”, in ambito di previsione e prevenzione. 


Di cosa si occupa la Protezione Civile?

"Le attività di protezione civile, sono intese come quell’insieme di attività volte alla tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’integrità dell’ambiente e del territorio"(Art.1 Legge 225/92).
 Sappiamo che il nostro è un pianeta vivo e attivo, con proprie dinamiche e fenomeni che non tengono conto, nel proprio manifestarsi, delle attività e strutture intessuta su di esso agli esseri viventi, in particolare dall’uomo.
Inoltre, quanto più la popolazione umana cresce ed estende le proprie attività, città ed infrastrutture sul territorio, tanto più si espone a essere bersaglio di tali eventi, benchè rari e circoscritti.
Questa estensione, cresciuta esponenzialmente negli ultimi secoli, di pari passo con la necessità di difendere le nostre attività.
Tali attività sono sempre state molto sentite in Italia, anche prima della loro attuale definizione e riconoscimento.

Un po' di Storia.

Nell’Italia preunitaria la legislazione in materia di protezione dai rischi derivanti da eventi calamitosi possedeva un carattere contingente ed emergenziale. Consisteva sempre, in effetti, in provvedimenti a favore dei sinistrati e direttive indirizzate a vari enti. Così sarà anche dopo il 1861 nell’Italia liberale.


Nel 1926, con il R.D.L. n. 2389, si tenta di delineare una struttura “permanente” per il soccorso alle popolazioni, la cui competenza viene affidata al Ministero dei Lavori Pubblici. Si prevede inoltre la nomina di un Commissario governativo per la direzione di tutti i servizi e un embrione di piano di protezione civile, in cui i Comuni elencano le risorse in loro possesso (ospedali, magazzini, depositi di carburante, ecc).

Fra il 1935 e il 1961 si ha la strutturazione su base nazionale dei servizi antincendio e l’attribuzione al Ministero dell’Interno dei servizi per la incolumità delle persone e dei beni e dei servizi per l’addestramento delle unità preposte al soccorso.
A tutto ciò davano stimolo l’alluvione del Polesine (1951 - 84 morti e 180.000 sfollati) e la catastrofe del Vajont (1963 – 1.918 morti), che sottolineavano l’esigenza di disporre di strutture e mezzi per il soccorso. 


Ma le catastrofi continuano ad abbattersi sul territorio italiano.
Il 4 novembre del 1966 dopo tre giorni di piogge incessanti, su Firenze erano caduti in tutto 250 milioni di metri cubi d’acqua, di cui oltre metà provenienti dal solo corso dell’Arno.
Relativamente poche le vittime per un disastro che poteva essere ben peggiore: 34 in tutto.
Scolpite nella memoria saranno invece le perdite del patrimonio artistico e culturale: migliaia di volumi mangiati dall’acqua e persi nel fango, manoscritti, rarissime opere di stampa. Tanto più che la maggior parte delle opere era ancora conservata negli scantinati per salvarle dai bombardamenti dell'ultima guerra.

E nella memoria restano anche gli angeli del fango: migliaia di giovani volontari giunsero nella città toscana per aiutare le popolazioni colpite e recuperare, salvandone le opere d’arte, dipinti, statue, libri antichi, manufatti, patrimoni dell’umanità, che altrimenti sarebbero andati perduti.  

E poi ancora torna a tremare la terra, questa volta in Sicilia, nella valle del Belice (1968 -370 morti, 1.000 feriti e 70.000 sfollati). 

Finalmente nel dicembre del 1970 viene varata la legge 996 “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione Civile”.
Ma diventerà operativa solo dopo undici anni, cioè dopo due nuove tragedie: il terremoto in Friuli (1976– 989 morti e 100.000 sfollati) e il terremoto in Irpinia (1980- 2.914 morti, 8.848 feriti e 280.000 sfollati). 
Viene così promulgato il DPR n. 66/1981, cioè il regolamento che rende possibile l’applicazione della Legge 996/70, a seguito della vibrante protesta del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini in visita sui luoghi colpiti dal terremoto dell’Irpinia.
Dopo quella visita Pertini fece un discorso pubblico nell’edizione straordinaria del TG2 dichiarando la gravità della situazione e soprattutto la mancanza dei soccorsi: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.
Celebre è la prima pagina de Il Mattino, che titola FATE PRESTO.
A tre giorni dall'evento non tutti i comuni erano stati raggiunti dai soccorsi e ancora molte persone erano sotto le macerie.



Un evento che ha contribuito alla nascita del Sistema di Protezione Civile così come lo conosciamo oggi è l'incidente di Vermicino in cui perse la vita nel 1981 Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano.
Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino morì dentro il pozzo ad una profondità di circa 60 metri.
La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell'opinione pubblica italiana, in special modo grazie alla diretta televisiva della RAI durante le ultime 18 ore del caso. 
Nel giro di pochi minuti i soccorritori si radunarono all'imboccatora del pozzo, ma le operazioni si rivelarono subito estremamente difficili: la voragine presentava un'imboccatura di 28 cm, una profondità complessiva di 80metri e pareti irregolari. Non essendo possibile calare una persona direttamente, si pensò di scavare un tunnel parallelo ma dopo 60 ore ininterrotte nessun tentativo di salvataggio andò a buon fine. La vicenda dimostrò come i soccorsi non erano preparati, non c'erano le attrezzature adatte disponibili subito e non c'erano dei coordinatori in grado di gestire l'emergenza.
  
Si tratta comunque di anni caratterizzati da confusione e incoerenza normativa.
In quegli anni nasce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile (DPC) che però si sovrappone alla Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendio del Ministero dell’Interno.
Occorrerà attendere altri undici anni affinché entri in vigore la Legge 225 del 24 febbraio 1992 “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile, ancora vigente.
Seguono strumenti normativi che regolamentano altri aspetti, quali quelli concernenti la partecipazione della associazioni di volontariato, non più dei singoli volontari iscritti in appositi registri presso le Prefetture (DL 613/94 e DL 194/01) e la stesura di piani di protezione civile secondo il metodo Augustus (Direttiva DPC dicembre 1996, e Manuale Operativo DPC 2007).

Sistema Nazionale della Protezione Civile

La risposta alle esigenze avanti espresse si traduce, dopo l’iter storico-normativo illustrato, nella istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile, con la Legge 225/92. Questa legge struttura tale Servizio, che è un sistema particolare rispetto ad altre nazioni, ma la cui validità è stata testata e confermata negli anni, sul campo.  

-cosa cambia con la legge 225/92?

L’istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile; la definizione delle sue finalità nei termini di tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’integrità dell’ambiente e del territorio; la definizione del campo di applicazione: “danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi”.  

Il coordinamento da parte del Presidente del Consiglio (o di un suo Delegato) di tutte le amministrazioni statali, degli enti locali e di ogni istituzione e organizzazione pubblica o privata presente sul territorio nazionale, coordinamento particolarmente utile per evitare contrasti e sovrapposizioni di poteri. 

La Dichiarazione dello Stato di Emergenza (DSE), deliberata dal Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio e del Capo Dipartimento della Protezione Civile. Essa, potendo utilizzare ordinanze in deroga a ogni norma vigente, ma nel rispetto dei principi del diritto, è uno strumento agile e idoneo a gestire la molteplicità di problemi che qualunque emergenza genera, a differenza dello strumento del Decreto d’urgenza. Ovviamente la delicatezza dell’uso della DSE (e della DSC, Dichiarazione Stato di Calamità, di competenza del Presidente della Regione), deve prevedere la durata e l’estensione territoriale dell’emergenza stessa. In caso contrario potrebbe essere messo a repentaglio lo stesso stato di diritto, con un uso deviato di tali strumenti, che consentono limitazioni momentanee e circoscritte alle libertà civili.  

Gli eventi calamitosi classificati in:

a) fronteggiabili in via ordinaria dalla amministrazione competente (livello comunale);
b) fronteggiabili in via ordinaria da più amministrazioni competenti (livello provinciale/regionale);
c) fronteggiabili con mezzi e poteri straordinari (livello nazionale).

Si esplicita inoltre che tali attività non sono di carattere esclusivamente emergenziale, come era stato sino ad allora, ma che prevedono previsione, prevenzione, emergenze e postemergenza. Debbono inoltre armonizzarsi con i programmi di tutela e risanamento ambientale.  

Si prevedono poi le Strutture che fanno parte della protezione civile, nonché le Competenze nella organizzazione e responsabilitàdell’attuazione delle attività, nella stesura dei piani nazionali, regionali, provinciali e comunali di protezione civile. Si comprende infatti come il Servizio Nazionale di Protezione Civile sia definito come un sistema a rete, nel quale concorrono all’attività non solo le strutture operative come Vigili del Fuoco, Forze armate, Polizia, Corpo Forestale, Servizi Tecnici, CNR, Università, Servizio Sanitario Nazionale, Croce Rossa, Associazioni di Volontariato e Ordini professionali, ma anche le competenze istituzionali, come Regioni, Province, Prefetture, Comuni, Comunità Montane e Autorità di Bacino. 

Importantissima è la sottolineatura riservata al volontariato. Essa deriva da una battaglia che, a metà degli anni ‘80 si sviluppò sulla struttura che la protezione civile dovesse avere. Semplificando, si andava da posizioni che ne volevano fare una specie di corpo specializzato di struttura e organizzazione gerarchica “paramilitare”, nello stile statunitense della Guardia Nazionale, a posizioni che vedevano la protezione civile come parte importante del sistema di Difesa Popolare Nonviolenta, per cui una struttura che coinvolgesse i cittadini e le istituzioni tutte, in un interessante e forse unico modello di cittadinanza diffusa e partecipata. Posizione, questa, risultata poi vincente sia nella norma che sul campo.   

Un capitolo a parte merita, data l’importanza del Comune nell’ossatura della pubblica amministrazione italiana, la figura del Sindaco. Egli, in quanto prima autorità locale di protezione civile, ha l’onere di provvedere, nei limiti delle sue possibilità, agli interventi di soccorso ed assistenza alla popolazione.  

La successiva riforma Bassanini (DL 112/98) ha ridefinito le competenze dei vari enti locali e pubbliche amministrazioni.
Focalizzandoci sui comuni ricordiamo che essi sono chiamati all’attuazione delle attività di previsione e agli interventi di prevenzione dei rischi, alla predisposizione dei piani di emergenza (anche in forma associata e integrata), alla predisposizione dei provvedimenti per assicurare il primo soccorso, a prestarlo, e attuare i primi interventi urgenti in caso di emergenza, anche tramite le strutture locali di protezione civile, e all’utilizzo del volontariato di protezione civile.

Nel 2012, viene modificata in parte la Legge 225. Ancora una volta sotto la spinta degli eventi. Da una parte l’abuso della legislazione d’urgenza per la gestione dei grandi eventi, che dalla legge 100 vengono finalmente eliminati dalle competenze della protezione civile.

Dall’altra i danni e le vittime degli eventi calamitosi, frane, alluvioni e terremoti, che si sono abbattuti sul nostro territorio negli ultimi vent’anni, hanno portato alla necessità di ristrutturare il Sistema Nazionale di Protezione Civile. 


Normativa